Wednesday, February 13, 2008

Schooling su Satisfiction

Quello che Schooling riesce a fare è appannaggio soltanto dei grandi libri. Costringerti dentro il loro linguaggio, dentro la loro struttura, come di fronte a una nuova alfabetizzazione, a una prospettiva del tutto inedita eppure di colpo necessaria. Libri così ambiziosi da obbligarti a un’innegabile fatica, eppure – o per questo – così generosi nel restituirti un mondo: pieno e autentico e urgente.
Con il suo romanzo d’esordio, tra i libri più belli usciti in Italia nel 2007 (grazie all’intelligenza di un piccolo editore come Nutrimenti), l’americana poco più che trentenne Heather McGowan trova idealmente posto accanto ad autori come Faulkner, Bernhard, Lobo Antunes: accanto ad autori che alla letteratura affidano tutto, che della letteratura si fidano del tutto.
La storia è esile: dopo la morte della madre, la tredicenne Catrine lascia gli Stati Uniti per andare a studiare nel collegio inglese di Monstead, che il padre aveva a sua volta frequentato. L’ambiente della scuola è strambo e soprattutto ostile: tra compagne che appiccano fuoco, compagni che “annusano colla” e professori che deridono il suo accento sbagliato, Catrine, intrappolata nella propria condizione di straniera e custode di un segreto che risale alla vita nel Maine, trova amicizia soltanto in Gilbert, professore di chimica e pittore amatoriale. Con lui, apparentemente emarginato come lei, instaura un rapporto via via più intenso e confuso. Finché Gilbert non diventa la sua “anomalia”.
Heather McGowan non ha paura di mescolare dentro il suo corposo romanzo stili e tecniche diversi: flussi di coscienza, dialoghi e monologhi difficili da attribuire in una polifonia di voci narranti, pièces teatrali. Tanto che i più dorrichiani d’oltreoceano hanno storto il naso, interrogandosi sull’esigenza di una così radicale sperimentazione dopo Joyce. Mentre gli altri, quelli capaci di godere della letteratura senza erigere paletti, l’hanno paragonata a Virginia Woolf e a Joyce stesso. Del resto, il sì pronunciato da Catrine nel monologo finale – “Sì sei tu il mio cento per cento” – non è forse un omaggio al famoso “sì” di Molly Bloom?
Paragoni a parte, Schooling è un romanzo stratificato, traboccante, eccessivo. Presuntuoso come ogni atto di fede non può che essere. È un romanzo sull’esilio, sulla morte, sul dolore e sulla colpa, sulla condanna inevitabile a deludersi degli esseri umani e nello stesso tempo sul loro tentativo maldestro e costante di proteggersi a vicenda. Imbevuto del fascino che i quadri di Balthus esercitano sull’autrice, lodato da Lethem e Moody, considerato alla sua apparizione nel 2001 come il miglior romanzo dell’anno da “Newsweek” e altre testate americane, Schooling si immerge nella mente di una ragazzina che elabora un grave lutto in un paese straniero. Permalosa, affatto docile, inaccessibile, Catrine non fa che mettere in scena la sua vita e quella degli altri per provare a distaccarsene. E a causa di Gilbert, o grazie a lui, capirà che “piangere non è una vergogna”.

Rosella Postorino, Satisfiction, febbraio 2008

Thursday, July 12, 2007

Un mondo di bianco

La linea degli alberi nella piazza, i tetti. Questa città un ospedale tutta bianca e lineare come un lenzuolo.

Heather Mcgowan, Schooling


C'è un tale silenzio, qui.
Le lenzuola, le facce, sono bianche e ferme, come orologi.
Le voci si ritraggono e si appiattiscono.

Sylvia Plath, Tre donne

Tuesday, July 10, 2007

Le migliori menti?

Giovinastri sogghignanti in candida tenuta da cricket. Ci siamo diretti verso il vecchio laboratorio di scienze che era stato trasformato in una specie di ripostiglio per gli attrezzi. Abbiamo pulito la sudicia finestra quel poco da riuscire a sbirciare dentro. Le ho raccontato che Prep erano i compiti che si facevano in aula la sera, ogni classe i suoi, che Tuck erano leccornie per la ricreazione, mandate da casa o comperate in città, che avrebbe avuto un armadietto per i suoi pan di spagna arrotolati e il burro d’arachidi, che la scuola le avrebbe assegnato un numero di matricola e che gliel’avremmo cucito sull’uniforme, che Sides era il nome di certi temi assegnati per punizione che avrebbe fatto meglio a non meritarsi. Era importante aver chiari questi dettagli, nessuno dà spiegazioni ai nuovi e a fare domande ci si mostra indifesi. Le ho descritto l’autunno inglese, come gli alberi cambiano colore, come il sentiero che dalla collina scende in città diventa dorato come avrebbe giocato a tennis e a rounders, imparato a tenere in mano un violino – oh ti piacerà così tanto qui scricciolo figlia mia tesoro mio che fioritura avrai in mezzo alle migliori menti in Inghilterra.

Friday, June 29, 2007

Rosella Postorino recensisce Schooling su Rolling Stone

All’inizio è difficile entrare nel romanzo d’esordio di Heather McGowan, Schooling: è come se, fin dalle prime pagine, il romanzo opponesse resistenza, fosse impermeabile. Poi, man mano che si va avanti, è la potenza della scrittura a permeare noi, ci occupa per intero. La lingua della McGowan diventa una lingua nuova che impariamo a leggere, a parlare, e il mondo di Catrine, la protagonista, diventa un nuovo piccolo cosmo con un suo (dis)ordine preciso, che ci contiene, ci incastra. Flussi di coscienza, monologhi, dialoghi teatrali, frasi sostantivate, spesso senza punteggiatura, immagini che si accumulano incessantemente una sopra, dietro, accanto all’altra: è attraverso la mescolanza di generi e di voci narranti che la McGowan ci fa entrare nel mondo di Catrine Evans, tredici anni, trasferitasi dopo la morte della madre dal Maine, America, a Monstead, Inghilterra, nella scuola dove suo padre, gallese, aveva studiato da giovane. Racconta Heather: “L’idea era semplicemente quella di cercare di cogliere il lavorio della mente di una ragazzina mentre elabora il dolore per la morte della madre in un nuovo paese. Poiché Catrine oppone resistenza al dolore, il suo modo di raccontare oppone ugualmente resistenza. Così le mie tecniche sono davvero le sue tecniche; lei mette in scena la propria vita per prenderne le distanze, devia la sua stessa tristezza immaginando le storie delle persone che la circondano”, spiega l’autrice. Ho ritrovato Thomas Bernhard e Ingeborg Bachmann in questo romanzo (la tensione della scrittura verso un pensiero raccontato) e Antonio Lobo Antunes: la polifonia di voci, dove il presente convive con il passato, dove l’azione è esigua, sopraffatta dai ricordi, dalle parole, dalle ossessioni. Nella nuova scuola, Catrine incontra un ambiente ostile, che la fa sentire straniera. Solo Gilbert, giovane professore di chimica e pittore a livello amatoriale, che ha fede non in Dio ma nelle “romanticherie”, prova a starle vicino, ad aiutarla a elaborare il lutto, a difenderla dalle “mele marce” della scuola, finché per lei non diventa “qualcuno con cui parlare la tua versione epica il tuo virgilio la tua anomalia”. Fra loro cresce e si consolida un rapporto fatto di odori, colori, eczemi e cicatrici, sandwich e “sorrisi zannuti”. Un rapporto che diventa sempre più intimo, “un sommovimento dello stomaco potrebbe essere amore o averle fatto male il cibo”, pericoloso, ambiguo: “Tua madre ti ha detto che non avresti dovuto piangere per lei […]. E poi piange lui, sì sì è Gilbert che singhiozza […]. Che cos’è mai lui per Evans o Evans per lui, che per lei debba piangere”. Alla fine Gilbert delude Catrine. Ma la sensazione che si ha leggendo questo straordinario romanzo è che le persone si deludano involontariamente, che il male verso gli altri sia sempre accidentale. Catrine racconta ossessivamente di aver ucciso per sbaglio un motociclista, quand’era ancora nel Maine, colpito da una gomma d’auto che lei avrebbe fatto rotolare giù da una collina. Una storia che evidentemente simboleggia il senso di colpa nei confronti della morte di sua madre. “Per me è il modo che Catrine ha per dichiarare il suo controllo su un’area fuori dal controllo, ma sì… assolutamente… rappresenta il senso di colpa che ci portiamo dietro quando muore un genitore”, dice l’autrice. E aggiunge: “Penso che spesso ci deludiamo senza intenzione l’un l’altro, ma ci proteggiamo anche. Catrine non dirà mai a suo padre quello che le succede a Monstead perché sa che lui sta vivendo il suo personale dolore. Vedo spesso i bambini fare questo, proteggere i loro genitori, e non smetterà mai di spezzarmi il cuore”. Schooling è un romanzo sull’esilio, quello di Catrine in Inghilterra, col suo accento americano (l’America con le sue armi nucleari), e quello che fu di suo padre in passato: “Sono una specie di meticcio, dato che sono cresciuta in diversi paesi (Belgio, Francia, Inghilterra e Usa) e da quando mi sono trasferita in America, a quindici anni, si è formata la mia identità di non-americana. Non è solo un romanzo sull’esilio, questo, ma anche sulla condizione di outsider”, racconta l’autrice. Schooling è un romanzo sulla perdita, sulla morte: quella della madre di Catrine, ma anche quella di Rosie, la sorella di Gilbert, e di suo padre, della quale lui si sente colpevole (“Forse ho letto troppo Shakespeare”, ironizza la McGowan). Soprattutto è un romanzo sulla (forza della) letteratura: “La letteratura tradisce. Il romanzo non è. La vita declina”, leggiamo nel libro. Eppure, la lingua estranea alle formule canoniche che la McGowan inventa e costruisce per narrare la storia di Catrine (una ragazzina che ama il deserto perché “la sabbia è meno equivoca”) tenta ostinatamente di raccontare le ombre, le tenebre: il pensiero. Ha il coraggio e la potenza di tendere all’indicibile, come quella di Bernhard e Bachmann. Per i quali è solo da una scrittura che si fa carico dei loro pensieri che gli esseri umani sono salvati.

Wednesday, April 25, 2007

Schooling

Schooling, romanzo di Heather McGowan, è nelle librerie dal 22 giugno 2007, pubblicato da Nutrimenti nella collana Greenwich.

Schooling ha segnato nel 2001 il debutto letterario della McGowan e si è conquistato l’attenzione della stampa americana per la sua prosa sperimentale e ossessiva, a momenti puntillista e sensoriale, e la sua finezza di osservazione psicologica.

Anni Ottanta: per la tredicenne Catrine, proveniente dal Maine e recente orfana di madre, il passaggio dalla prima adolescenza alla piena femminilità è reso più travagliato dal trovarsi precipitata in un collegio del sobborgo londinese di dubbio rango, lo stesso frequentato a suo tempo dal padre. Fra regole incomprensibili, cibo cattivo, paesaggi ostili, tempo inclemente, compagne e soprattutto compagni imperscrutabili, insegnanti caricaturali e flash-back repentini e lancinanti, la giovane americana, ribelle controvoglia, finisce col formare un vincolo laconico e scontroso con un altro apparente emarginato, Gilbert, professore di chimica e pittore in segreto. L’amicizia finisce per assumere però colori sinistri e ossessivi e Catrine si trova a dover imparare la lezione più importante della vita: venire a patti con la propria consapevolezza e con i limiti e le conseguenze dei suoi bisogni emotivi.


L'incipit

1

Mi pesava, portar via la piccola, mi pesava eccome. Con la madre appena morta, so bene come vanno queste cose perché anche mia madre è morta giovane, beh eccome se mi pesava. Cercavo di dire qualcosa in risposta ai silenzi che mi gettava addosso per tutto il viaggio fino a Chittock Leigh. Che bella giornata di giugno provavo a dire Calda vero Catrine Catrine, lei rispondeva ogni volta Sì papà. Ad un certo punto le ho proposto Giochiamo a Gambe e insegne. Proprio in quel momento siamo passati di fronte al CAVALLO&CALESSE. Guarda, scricciolo, sono già sei punti per me. Sei? ha detto, sei, hai mai visto un cavallo con sei zampe? Beh, ho detto io con pazienza, Può esistere un calesse senza conducente? Sì, quando è posteggiato, ha detto lei incupitasi e intenta a fissare le sue scarpe. Le ho indicato il pub successivo sul suo lato ma quando v’eravamo vicini ho visto che si chiamava LA CIPOLLA ALLEGRA. LA CIPOLLA ALLEGRA, che razza di pub è questo, ho detto, Cipolla pensa tu. Alla fine in un impeto di parole ha detto Forse quel tuo vecchio cocchiere ha perso una gamba in guerra. Sì ho detto io E per quanto ne sappiamo anche il suo ronzino saltellava su tre zampe ma ci sono cose che puoi dare per assodate per esempio che un oste sull’insegna voglia per emblema un uomo con tutti gli arti a posto e per un po’ abbiamo discusso se fossi un padre imbroglione o se semplicemente stavo facendo il padre. IL CERVO BIANCO è apparso sul suo lato Sei! lei ha gridato e io per poco non sono finito fuori strada. Sei ha ripetuto lei picchiando sui braccioli, sei per me. Mi sono messo a ridere, Chi è che bara adesso? scusa perché sei. Perché non c’è mai un cervo bianco senza un cacciatore che gli spara, papà, un cacciatore devi darlo per assodato. Insomma le ho lasciato i sei punti così che fossimo pari e non tenesse il broncio nel venire a vedere la sua nuova scuola. Eccola lì, nemmeno il tempo di accorgermene, che emergeva dalla foschia come un transatlantico.